di Angela Marangon
«C’è una verità universale, applicabile a tutti i paesi, le culture e le comunità: la violenza contro le donne non è mai accettabile, mai scusabile, mai tollerabile».
(Trad. it, United Nations Secretary-General, Ban Ki-Moon, 2008)
Era il 25 novembre del 1960, nella Repubblica Dominicana, quando le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche impegnate nella lotta contro i crimini e gli orrori della dittatura, furono stuprate, torturate e gettate in un precipizio, simulandone un incidente. Questa tragedia insospettì e pose l’attenzione sulla cultura e sul regime che vigevano in quell’epoca che non permettevano alle donne di avere una voce e uno spazio politico e pubblico. Nel 1999, in ricordo delle tre sorelle, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì il 25 novembre come la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
La violenza contro le donne è una violenza… di genere!
Il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che definisce la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani e come forma di discriminazione contro le donne in quanto tali è la Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia con la legge n°77 del 27 giugno 2013). L’art.3 cita: «con l’espressione violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata».
Riconosciamo e diamo un nome
«Per vivere nel mondo, dobbiamo dargli un nome. I nomi sono essenziali per costruire la realtà, perché senza un nome è difficile accettare l’esistenza di un oggetto, di un sentimento».
(Dale Spender, scrittrice e attivista femminista australiana)
Nella vita di tutti i giorni accade che all’interno delle nostre relazioni intime, amicali, familiari e lavorative entriamo in conflitto. Ci troviamo a confrontarci con punti di vista differenti e, a volte, capita che questo confronto sia acceso e animato ma c’è una differenza importante da fare rispetto alla violenza. Nel conflitto c’è parità tra le persone, c’è una simmetria relazionale che ci porta a trovare un compromesso e a negoziare una soluzione, più o meno condivisa.
Nella violenza, invece, una parte predomina e prevarica sull’altra, è presente quindi una relazione asimmetrica. Non c’è l’obiettivo di trovare una soluzione patteggiata alla crisi, bensì la prevaricazione arrivando all’annullamento (anche fisico nei casi più gravi ed estremi) dell’altra persona. Non vi è consenso, la persona che soccombe è costretta ad affrontare la situazione in modo coercitivo subendo danni alla propria incolumità fisica, psicologica, sessuale, economica. A differenza del conflitto, nella violenza non c’è lo spazio per una mediazione familiare.
Inoltre, siamo abituate/i a vedere immagini di donne picchiate, con segni visibili, a pensare che la violenza sia riconducibile solamente a quella fisica. Sentiamo parlare dei fatti che accadono, dei casi estremi di femminicidio, ma spesso in modo semplicistico e riduttivo dietro a quali si cela la complessità di questo fenomeno. Nella realtà la violenza di genere presenta diverse forme che spesso coesistono e all’interno delle quali si intrecciano dinamiche complesse e singolari.
Quali sono le diverse forme e i segni della violenza?
La violenza psicologica fa riferimento a quegli atteggiamenti denigratori, minacce, urla, insulti, tentativi di isolamento all’interno di una dinamica di controllo che danneggiano l’identità e l’autostima della donna.
La violenza economica riguarda quei comportamenti volti a produrre dipendenza economica o ad imporre impegni economici non voluti (controllo dello stipendio/spese, negazione dell’accesso al conto corrente, divieto di lavorare,…).
La violenza fisica è quella più visibile. Racchiude tutte le azioni che ledono l’integrità fisica della donna (percosse, ustioni, maltrattamenti, mutilazioni, strattonamenti, privazione delle cure mediche,…).
La violenza sessuale comprende tutte le situazioni nelle quali la donna si sente costretta, contro la sua volontà, a partecipare ad un atto sessuale, ad avere rapporti non protetti o ad abortire tramite violenza, minacce, abuso di autorità, stupefacenti, alcool.
Nello stalking rientrano tutti quei comportamenti ed atti persecutori volti a far sentire la persona minacciata e controllata, generando ansia e paura tali da modificare il proprio stile di vita (pedinamenti, continue telefonate, accessi ai profili social,…).
Invece, la violenza assistita è una forma di violenza psicologica che si manifesta nel momento in cui un/a bambino/a vive ed assiste a forme di maltrattamento e di violenza domestica da parte di figure affettivamente significative. Il rischio è quello di sottovalutare questa violenza e che rimanga un “segreto di famiglia”. I/le bambini/e non sono testimoni passivi ma ne fanno esperienza diretta e, se vi è una sottovalutazione della gravità, potrebbero sopraggiungere disturbi e disagi nella loro vita.
Infine, i segni e gli esiti della violenza si manifestano su diversi piani: sulla salute fisica (lesioni, disturbi fisici,…); psicologica e comportamentale (ridotta autostima, disturbi d’ansia/ del sonno/ dell’alimentazione, depressione, disturbo post traumatico da stress, abuso di sostanze, ideazione suicidaria,…); riproduttiva (infezioni sessualmente trasmissibili, gravidanze indesiderate, aborti,nascite premature,…); relazionale (isolamento, difficoltà nel prendersi cure di sé e delle/i figlie/i, colpevolizzazione,…), arrivando fino all’estremo caso del femminicidio.
Come si può uscire dalla violenza?
Nel caso in cui la si subisca: in un percorso di psicoterapia si può riflettere sulla situazione, trovare supporto e trovare modi nuovi per stare nella situazione. Quando ci si sente in pericolo, ci si può inoltre appellare ai centri antiviolenza dislocati sul territorio nazionale, ai servizi sociali del proprio comune di residenza o si può chiamare il 1522, numero nazionale antiviolenza e stalking (Dipartimento Pari Opportunità), attivo 24 ore su 24. Nei casi emergenziali, si possono contattare le Forze dell’Ordine o dirigersi al Pronto Soccorso.
Nel caso in cui la si agisca: a volte si è consapevoli di stare in una relazione in modo aggressivo o manipolatorio ma ci si vergogna a parlarne o si teme che non ci siano modi per modificare le cose. Anche in queste situazioni si può intraprendere un percorso psicoterapico.
È utile il sostegno psicologico?
Per la persona che subisce è difficile uscire dalla situazione di violenza in quanto si trova invischiata in dinamiche disfunzionali, che paradossalmente però trovano un loro equilibrio. In tale situazione si può perdere la propria identità, vivere sentimenti di colpa e di vergogna, avere paura e sentirsi isolati/e: la dinamica della violenza porta a sentirsi incapaci ed in colpa, senza però riuscire a capire quale ruolo si abbia nel mantenere quella stessa dinamica.
Nella situazione di crisi è necessario ed utile il supporto psicologico per tutto ciò che la persona sta attraversando (i fatti concreti, l’iter istituzionale, le ripercussioni psicofisiche immediate,…) e per sostenerla nei primi passi verso l’uscita e l’autonomia, aiutandola a riconoscere la violenza, accogliendone il dolore, la fatica e i vissuti di smarrimento, ricercando le risorse interne ed esterne che possono essere attivate e dando contenimento a tutto il suo vissuto interno. Successivamente può essere utile avere e conservare uno spazio psicoterapico dedicato all’elaborazione dei vissuti traumatici, alla comprensione di ciò che è accaduto, non tanto per giustificare ma quanto per poter dare un senso a quanto accaduto, riscoprire chi si è senza partner e tornare ad avere fiducia nelle persone in modo efficace.
Per chi agisce la violenza: può essere molto utile trovare un/una professionista non giudicante che aiuti a prendere coscienza delle difficoltà, a capirne il senso e costruire insieme nuovi modi più appaganti e sereni per vivere le relazioni.