di Elena Daniel
Sono persone comuni quelle che popolano le scene di This is Us, serie tv in voga al momento. Non è una di quelle serie che hanno bisogno di effetti speciali, botti o fantascienza per catturare l’interesse: è lo svolgersi della vita che ti tiene lì, per più stagioni di fila, ad aspettare la puntata successiva. E, incredibilmente, ci può insegnare qualcosa su di noi e sul nostro modo di vedere il passato.
Parla di una famiglia: una giovane coppia innamorata che cresce tre figli nati nello stesso giorno. Jack e Rebecca aspettavano tre gemelli ma uno è morto nel momento del parto e, per una strana coincidenza, nello stesso ospedale, quel giorno arriva un neonato, abbandonato dai genitori e raccolto da un pompiere sulla soglia della caserma. Non c’è esitazione, diventerà parte della famiglia insieme agli altri due.
La narrazione è un continuo viaggio nel presente, nel passato e nel futuro: si parla di amore, amicizia, lutti, obesità, alcolismo… tutto ciò con cui si può sporcare le mani nella vita.
L’evolvere della serie assomiglia molto a ciò che può avvenire in un percorso di terapia: nel raccontarsi emergono elementi che danno via via senso alla propria visione di sé e la rendono più ricca e completa. E’ come se man mano che si procede avanti e indietro nel tempo si comprendesse sempre di più il punto di vista dei protagonisti… Perchè Kate ce l’ha a morte con sua madre che l’ha tanto amata? Perché Kevin si distrugge nell’alcol nonostante conduca una vita invidiabile dai più?
In alcuni momenti, qualche personaggio si trova seduto ad un tavolo con il se stesso bambino, l’adolescente e l’adulto. Ognuno dice la propria e insieme dibattono su una specifica questione. Scene queste che richiamano vere e proprie tecniche terapeutiche.
“Ogni vita merita un romanzo”
“Ogni vita merita un romanzo” scrisse lo psichiatra E. Polster intitolando così un suo famoso libro: sottolineava come l’esistenza di ciascuno sia altrettanto interessante e appassionante rispetto a quelle descritte nei romanzi. Raccontarsi e scoprire questa potenzialità è già di per sé terapeutico: dà coerenza a scelte che possono sembrare paradossali, ricorda le sfide che sono state superate, mostra le nostre radici e traccia una direzione verso cui poter tendere.
Le narrazioni possono cambiare mille volte
Nello snodarsi delle puntate, si osservano i punti di vista diversi dei tre fratelli sugli stessi eventi: è estremamente potente notare come ognuno guardasse a ciò che avveniva con delle lenti diverse e come ciò portasse a creare narrazioni di sé e degli altri differenti. Confrontare le loro “versioni” di quanto accaduto li aiuta a rivedere il loro passato e a farci pace. Facciamo un esempio. Jack, il padre, muore quando i figli sono adolescenti, in seguito ad un incendio; la figlia Kate continua anche da adulta ad idealizzarlo, lo vede come un padre perfetto, ne ricorda solo i lati positivi e fatica ad elaborarne il lutto. Si comporta in alcuni momenti come se lui fosse ancora lì, cerca di farlo rivivere attraverso alcune ritualità (come vedere ogni anno il Superbowl da sola, fingendo di essere con lui) che manifestano la sua difficoltà ad andare avanti con la sua vita. Il confronto con Randall, uno dei fratelli, la aiuta a ricordare quanto il padre avesse anche dei lati più oscuri, che lo rendevano molto più umano e meno “divino”. Kate cambia così la narrazione della sua storia e inizia a ricordare aspetti del rapporto col padre che aveva negato. E’ necessaria per lei una visione più ricca del papà, per lasciarlo andare.
Come ci si può separare da un essere perfetto? Sarà a quel punto che Kate riuscirà a maturare come persona, a creare il proprio nucleo famigliare e a fare pace con la madre.
“Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice”
Sembra sia una frase dello scrittore Tom Robbins ma non ne sono sicura; sicuramente però era di qualcuno piuttosto illuminato. E “This is us” ci aiuta una volta in più a dirci che non è mai troppo tardi per ridefinire ancora e ancora lo specialissimo romanzo della nostra esistenza.